Stefano Oss

professore ordinario di didattica e storia della fisica

e delegato del Rettore

per l’orientamento e la comunicazione della scienza

Università di Trento

Prima la rivoluzione della stampa, poi quella della radio e della televisione, poi quella di Internet. Si è aperto uno scrigno del sapere pressoché illimitato, un tesoro formidabile che ci consente di mantenere con ritmi prima inimmaginabili le connessioni e le condivisioni necessarie per il sostentamento e la crescita della società. L’impresa scientifica si è enormemente arricchita e ha condotto a innumerevoli scoperte e benessere derivato, anche grazie alla potenza di calcolo e di immagazzinamento di dati che la rete mondiale consente (sì, sto pensando ai vaccini covid).

L’ultima rivoluzione è “Intelligenza Artificiale”, che ora è sotto i riflettori grazie alle interfacce con le quali si può dialogare, discutere, imparare, far di conto, tradurre testi eccetera, avendo come interlocutore un software, cioè algoritmi, codici, programmi di incredibile complessità e potenzialità Questi, a loro volta, “vivono” grazie a reti di computer che si dividono il carico di lavoro richiesto per dare seguito a miliardi di miliardi di operazioni da svolgere rapidissimamente per essere efficienti ed efficaci.

Il tono delle notizie a riguardo è ottimistico, a volte trionfalistico, anche se molte sono le posizioni ufficialmente prese da varie autorità e personaggi che invitano alla prudenza: ciò è dovuto a diversi motivi, che vanno da questioni legate al trattamento della riservatezza dei dati (l’Italia, in questo periodo, ha bloccato l’accesso a ChatGPT, una di queste interfacce – forse oggi la più famosa – che consentono di accedere a motori di intelligenza artificiale), alla preoccupazione che gli automi o robot tolgano (definitivamente e massicciamente) il lavoro agli esseri umani, al dubbio su come queste macchine possano gestire questioni etiche, in ambiti apparentemente semplici – come nel caso della guida automatica di veicoli – fino ad arrivare a decisioni politiche e militari che potrebbero condurre a conflitti veri e propri.

Ci sono riserve anche per quanto riguarda l’utilizzo decisamente improprio che potrebbe venir fatto da studenti e studentesse che scoprissero nell’intelligenza artificiale una formidabile alleata per la redazione di saggi, compiti di esame e altre incombenze tipicamente scolastiche, a tal punto che sono già comparse indicazioni e raccomandazioni affinché non vengano assegnate prove scritte senza sorveglianza, come quelle preparate in libertà a casa propria.

Il fatto è che ChatGPT (e i suoi simili) è in grado di fare un ottimo lavoro non solo per quanto riguarda la ricerca di informazioni, ma anche nella strutturazione “pseudo-umana” di testi e dissertazioni (in qualsiasi lingua, peraltro), affrontando e discutendo – per ora in modalità testuale – questioni anche relativamente profonde dal punto di vista concettuale, spaziando quasi senza limiti dalla gastronomia all’astronomia, dalla filosofia alla fisica, dall’economia all’ingegneria, dalla biologia alla medicina e così via.

Vi sono opinioni su questa enorme “potenza di fuoco culturale” secondo le quali da ciò deriverebbero ricadute inevitabilmente favorevoli sul comparto scolastico ed educativo: il motivo principale sarebbe, secondo queste voci, che i discenti si troverebbero di punto in bianco liberati dal fardello del “lavoro sporco”, ovvero quello del far di conto meccanico e ripetitivo, di dimostrare teoremi già dimostrati, di redigere un rapporto scritto su una misura fatta in laboratorio, di produrre riassunti o commenti su testi di varia origine e natura, disegnare grafici: insomma, tutte quelle cose noiose che ChatGPT sa digerire e gestire velocemente e, in linea di massima, senza problemi. In questo modo, dicono questi “esperti” (non si capisce bene di cosa, in realtà), studenti e studentesse sono liberi di esprimere la propria creatività, aumentare la produttività, prepararsi a una vita ben allineata con le ultime novità tecnologiche della società di oggi.

Magari fosse così.

Le persone con questa visione, probabilmente, non sanno o non ricordano che il “lavoro sporco” è un tassello fondamentale della crescita intellettiva delle persone. Senza di esso non si può costruire una didattica efficace: la scuola è e deve restare il luogo preposto per un cammino culturale sicuramente attento alle nuove idee, incluse quelle dell’intelligenza artificiale, ma che è basato esclusivamente sullo sviluppo graduale e paziente dell’intelligenza naturale. La “noia” delle dimostrazioni già fatte, del calcolo manuale, delle traduzioni con carta e penna, del disegno di grafici, dello studio comparativo di testi e fonti è una via necessaria da percorrere se non vogliamo che muoia (e in poco tempo) la meravigliosa, insostituibile ricchezza della mente umana.

Immaginate un pianista che spera di diventare un grande concertista senza fare scale e arpeggi, o uno sciatore che, alla prima lezione, viene scaraventato lungo una pista “nera” ghiacciata, senza nemmeno avere idea su come allacciare gli sci ai piedi. Non può funzionare.

Non voglio certo proporre che le scuole bandiscano dalle aule l’intelligenza artificiale tout-court, ci mancherebbe. So perfettamente che le rivoluzioni di cui scrivevo all’inizio hanno portato un contributo di crescita e sviluppo irrinunciabile al sistema educativo in tutti i paesi del mondo civilizzato. Si è trattato però di cambiamenti che hanno introdotto strumenti di affiancamento al lavoro manuale dei discenti (e dei docenti, che in queste situazioni di cambiamento sono loro stessi in fase di apprendimento) e non di sostituzione delle menti nel loro continuo stato di aggiornamento e istruzione. La rivoluzione di ChatGPT da questo punto di vista è molto differente e, se non ci si attrezza con massima cura e attenzione, può avere conseguenze devastanti sulla nostra cultura, che vuol dire la nostra stessa umanità. Nelle scuole l’intelligenza naturale va affiancata, non sostituita.

Cosa possiamo fare? Sicuramente non si tratta di un fenomeno facilmente arginabile: sono progetti sostenuti da finanziamenti e spinte economiche super-miliardarie anche in vista di un altrettanto rivoluzionario cambiamento nel campo dell’hardware, cioè delle macchine che sono destinate a far funzionare concretamente l’intelligenza artificiale: non è dietro l’angolo, ma il computer quantistico potrà forse in futuro superare il computer “standard”, basato sul “bit binario” di oggi, di molti ordini di grandezza in termini di velocità di processamento dei numeri.

Quindi dovremo convivere con questa realtà cercando di trasformarla in una risorsa e non in un “grande fratello” che soffochi le nostre indispensabili libertà culturali e concettuali e gli standard pedagogici ed educativi. Questo, secondo me, sarà difficilissimo ma non impossibile se si farà – ancora un’altra! – rivoluzione: quella della formazione iniziale e dell’aggiornamento dei docenti della scuola (di ogni livello) che non dovranno limitarsi a “lasciar fare” ChatGPT, magari affiancandolo ad altri strumenti (calcolatrici, calcolatori, internet, didattica remota). In modo graduale, le interfacce di intelligenza artificiale potranno invece essere considerate come macchine di verifica, supporto, confronto nello studio “naturale”, ovvero quello che si è sempre fatto a scuola. Sì, sarà necessario continuare a imparare a far di conto a mano, come una volta, e a saper tradurre dall’italiano all’inglese impadronendosi delle strutture linguistiche anche in modo tradizionale. Solo in seguito, dopo la fase di apprendimento “manuale”, le macchine “intelligenti” potranno dire la loro ed eventualmente essere utilizzate davvero per un “lavoro sporco” le cui regole siano state acquisite, capite, elaborate e collaudate da studenti e studentesse.

Tutto ciò richiede grande attenzione pedagogico-didattica e tempi di attuazione che, ahimè, non sono disponibili nei già risicati monte ore dell’attuale calendario scolastico tipo. A questa difficoltà si aggiunge un atteggiamento non esattamente scientifico e propositivo dei ministeri che dovrebbero vegliare su queste “rivoluzioni”. Immagino non serva ricordare il numero di docenti ancora precari che non trovano stabilizzazione nella scuola, i concorsi a singhiozzo e, non per ultimo, un periodo di ormai 25 anni (un quarto di secolo) durante il quale una decina di ministri non è riuscita a trovare un accordo per formare e abilitare nuovi insegnanti nel livello secondario (scuole medie e superiori). Il mio consiglio è di sistemare le fondamenta in modo stabile e definitivo prima di costruire nuovi edifici che promettono meraviglie.

In conclusione: sì alla rivoluzione dell’intelligenza artificiale, solo se il cammino è guidato dall’intelligenza naturale. Sempre e comunque. Non facciamoci illudere dal sapere facile e dalla cultura gratuita. Non esistono.

Stefano Oss

professore ordinario di didattica e storia della fisica

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