Un team di ricercatori dell’Unità di Neuroimmunologia del San Raffaele, guidati da Gianvito Martino, neuroscienziato e direttore scientifico dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, ha pubblicato su “Nature Communication” uno studio che aggiunge un importante tassello alla definizione dei meccanismi cellulari e molecolari che sottendono la nostra capacità di pensare e di decidere.
Come funzione il processo mentale della decisione? Oggi si conoscono le aree cerebrali coinvolte nel processo mentale della decisione, ma poco si sa delle cellule e delle molecole coinvolte nel processo decisionale. Lo studio del San Raffaele, condotto su un modello sperimentale, identifica una popolazione di cellule del cervello – le cellule staminali periventricolari – e una proteina da esse secreta – insulin-like growth factor binding protein-like 1 (IGFBPL1) – la cui mancanza rende meno capaci di decidere, in altre parole rende più indecisi.
I ricercatori, studiando le cellule staminali periventricolari – cellule situate all’intorno dei ventricoli cerebrali in cui scorre il liquido cerebrospinale che irrora e alimenta il cervello – hanno scoperto che secernono una proteina – IGFBPL1 – il cui ruolo è quello di svolgere un’azione nutritiva su alcune cellule situate in una area cerebrale profonda denominata corpo striato. Ciò avviene a favore di alcune cellule, definite interneuroni a picco rapido (fast-spiking), che sono essenziali per i nostri processi cognitivi perché capaci di inibire impulsi elettrici provenienti da qualsivoglia area cerebrale. Così facendo, queste cellule sono capaci di filtrare i messaggi ‘elettrici’ facendo transitare solo quelli destinati a diventare appunto una decisione, giusta o sbagliata che sia.
I ricercatori hanno dimostrato che eliminando geneticamente le cellule staminali periventricolari e/o la proteina igfbpl1 i topi modificati sono risultati indecisi. Essi, privati delle cellule o della proteina hanno, infatti, mostrato, durante i test comportamentali, di non essere in grado di regolare adeguatamente gli impulsi volti a facilitare o a inibire un certo comportamento, pur mantenendo intatta la capacità di apprendimento e di memorizzazione.
Il risultato raggiunto nella sperimentazione sui topi ha portato i ricercatori a indagare anche l’uomo. «Come è possibile immaginare, il processo decisionale comporta il coinvolgimento di più circuiti cerebrali che tra loro interagiscono, una complessità difficile da indagare a fondo – fa notare il direttore scientifico dell’IRCCS San Raffaele -. Abbiamo però trovato le stesse cellule staminali che producono IGFBPL1 anche nel cervello umano ed una interessante e significativa correlazione tra danno degenerativo della zona cerebrale dove ci sono le staminali con un deficit della capacità di processare le informazioni, operazione cognitiva certo implicata nel processo decisionale».